La filosofia di essere vincenti, ma forse anche quella di non esserlo. Prima Liverpool e poi Boca. Il Milan, aiutato dal destino, ha cercato e ottenuto le sue riscosse. E poi oltre alle coppe, ai trofei, ai numeri, ci sono gli uomini che, per fortuna, sono ancora i veri protagonisti di questo pallone spesso sgonfiato da scandali, soldi, violenza.
Uomini come Paolo Maldini, un predestinato che è riuscito a fare meglio del padre, anche lui vittorioso in rossonero. Un capitano di lunghissimo corso in grado di fermare attaccanti che gli potrebbero essere figli con l'impegno di un ragazzino e la solita classe, purissima. Un esempio dentro e fuori dal rettangolo verde, che ai mille trofei in bacheca aggiunge quello di una longevità che ha del leggendario. Bandiera e anima del Diavolo.
Uomini come Pippo Inzaghi, uno che il gol non lo vuole, lo predende. Uno che ha segnato in qualsiasi competizione internazionale, sempre, comunque e dovunque, quasi fosse l'imperativo categorico, la smania della sua esistenza, l'obiettivo a cui tende con pervicacia superando troppi infortuni e magari una classe non purissima. Erano in pochi a credere ancora in lui qualche anno fa: lo stesso Inzaghi e il Milan.
Uomini come Kakà, faccia da bimbo e talento cristallino. Bello e utile, genio e serietà, forse un giocatore così non si era mai visto prima! E il Milan lo ha preso quando costava due lire.
Uomini come Clarence Seedorf. La perla nera che non ha paura di dire ciò che pensa e che, quando conta, c'è sempre. Uno che è abituato a vincere e che al Milan a trovato il suo ecosistema naurtale.
Uomini come Carlo Ancelotti già allenatore in campo e ora grande condottiero dalla panchina. Ha vinto tutto con grande umiltà e senza capricci o isterie, ma con pazienza e dedizione di un padre anche nei momenti meno facili. Il Milan lo ha allevato e lui ha ricambiato.
Uomini come gli altri "allievi" di Sacchi: Donadoni, Rijkaard, Van Basten... ieri tutti campioni e oggi tutti allenatori sulla cresta dell'onda.
Uomini come Fabio Capello, altra creatura diavolesca, che è stato chiamato dai "maestri del calcio" d'Albione per dar loro qualche "ripetizione".



(segue) L'unico raggio di luce in questo buio tecnico per l' "ars paratoria" dello Stivale era fino a tempi recenti Marco Amelia. Terzo portiere nella Nazionale che ha trionfato a Berlino, non ha mai giocato in Germania, ma è comunque Campione del Mondo. Un Campione sopratutto del futuro che data la giovane età - appena 25 anni - avrebbe dato granzie all'era D.B. (Dopo Buffon). Tuttavia, complice forse l'essere rimasto controvoglia a Livorno, invece che approdare nelle più quotate Lazio o Palermo, la stella di Marco si sta adombrando. L'uscita a vuoto sul corner che ha regalato il momentaneo 1-0 alla Roma è solo l'ultimo di alcuni episodi non certo in linea con le prestazioni a cui numero uno amaranto aveva abituato i suoi estimatori. E così tornano i fantasmi del ragazzino imberbe che al Lecce alternava buone parate e svarioni imbrarazzanti come un pallonetto subìto da 40 metri. Amelia deve ritorvarsi, magari fuori da Livorno. Carlo di Inghilterra insegna: il rischio è diventare un eterno erede che non arriva mai al trono. 