lunedì 30 ottobre 2006

Calcio/Là dove cadono le Aquile

La squadra è ben lontana dal gioco che desidera il tatticissimo Rossi e i due antichi gemelli del gol Rocchi e Pandev da troppe partite sembrano essere neanche lontani parenti. Anche con l'Udinese l'undici biancoceleste è stato soverchiato nel gioco prima che nel risultato e se non fosse stato per il fenomenale nonno Ballotta - 43 anni e un fisico da ragazzino! - i friulani avrebbero potuto dilagare in goleada. Poi c'è la Champions e anche qui i tasti dolenti non mancano: il girone non è facile, ma nanche impossibile eppure la Lazio è quasi tagliata fuori dopo appena tre partite. E da qui si apre il terzo capitolo oscuro, quello del mercato. Vista la "missione compiuta" lo scorso anno e il sudato accesso all'Europa che conta, molti si aspettavano qualche investimento in più per rafforzare una rosa già buona, ma non certo adeguata per confrontarsi con le grandi del continente. I pezzi pregiati sono rimasti, ma non è bastato. Una campagna acquisti oculata, come prevede la dottrina Lotitiana, ma di certo finora non azzeccata come quella di Napoli o Fiorentina che hanno fatto - finora - bella figura con poca spesa.
Scaloni? Finora un oggetto misterioso. Meghni? Sembra un fantasma. E sul mercato laziale pesa soprattutto la non chiara gestione dell'affaire Carrizo, un portiere di grande livello che è stato sostituito all'ultimo secondo dal non certo fenomenale Muslera. E i "buchi" nella rosa sono diventati autentiche voragini quando anche la scure della sfortuna, con una serie incredibile di infortuni, si è abbattuta sui biancocelesti, specie se difensori. Se poi ci aggiungiamo la brutta storia emersa con l'intercettazione della telefonata di Rossi a Lotito, che peraltro è costata il deferimento all'allenatore romagnolo, il quadro è completo. Ovvio che ora lala contestazione al presidente, amante del latino come della gestione oculata, non sia relegata solo ai tifosi più "Irriducibili", ma coinvolga anche i settori della tribuna. Insomma gli Aquilotti stanno per cadere dal nido dorato della Champions e anche in campionato sono impastati nella metà bassa della classifica. Per volare più in alto ci vorrebbero altre ali, ossia una rosa più competitiva, o perlomeno la disciplina tattica che Rossi ha sempre saputo dare alle sue squadre. Carattere e determinazione, e niente da "ammorbidire".

domenica 15 ottobre 2006

Da Kentucky Kid a Kentuchy "Chi?"



...Nicky Hayden, appena un anno fa, era il volto nuovo delle moto, quello in grado di contrastare nientemeno che sua Maestà Valentino Rossi e di strappargli, dopo un mondiale al cardiopalma, il titolo iridato. Hayden era il rivoluzionario, quello che si era issato sul trono della MotoGp dopo cinque anni di sostanziale dittatura del Dottore. Kentucky Kid sembrava aver battuto Rossi con armi tradizionalmente legate a Vale ossia la concentrazione, la determinazione nel momento decisivo e – perché no – un po’ di fortuna. Hayden aveva anche riportato la Honda al trionfo e non era cosa da poco. La casa giapponese non si era ancora ripresa dal divorzio col Pesarese e si dibatteva tra rimpianti e orgoglio giapponese che colava a picco. E l’americanino non solo aveva vinto per la Honda, ma anche a dispetto della Honda: perché la moto HRC non era certo la sfavillante Ducati Desmosedici di quest’anno, ma soprattutto perché la casa del Sol Levante, senza infingimenti, puntava con più convinzione sull’altro talento Dani Pedrosa. Non basta. Lo statunitense era già da tempo l’unico fenomeno in grado di uscire vittorioso dalle insidie del gran premio di casa: usava regolarmente il cavatappi di Laguna Seca per brindare con champagne al termine della gara. Insomma il 2006 si era rivelato una stagione trionfale per il piccolo grande Hayden, un figlio d’arte finalmente in grado di rispondere con i risultati a quelle aspettative che fin da ragazzino hanno accompagnato la sua carriera. Tuttavia l’alloro iridato non aveva dissipato alcune perplessità sulle qualità del Kentucky Kid: molti sostenevano che il mondiale l’aveva perso Rossi piuttosto che vincerlo Hayden, quasi tutti concordavano che in tema di staccate e “polso” il gap dal Dottore era ancora ben lontano da essere colmato e forse pure il piccolo Pedrosa aveva un talento più cristallino, seppur acerbo. Insomma tutti aspettavano lo statunitense alla prova del nove, alla mission impossibile del mondiale da detentore. In effetti anche Hayden sapeva che difendere quel titolo sarebbe stato davvero difficile, lo voleva Rossi in cerca di riscatto, lo volevano la Honda e Pedrosa, lo volevano i Ducatisti e ci pensava pure Meandri. Quindi aspettarsi un Hayden di nuovo in testa sarebbe stato quasi fantascienza, ma di certo da Kentucky Kid ci si aspettava almeno un campionato di livello. Invece, a giochi ormai fatti o quasi, Hayden è mestamente al nono posto nella classifica iridata dietro ai cavalli di razza Stoner, Rossi, Pedrosa, agli sfortunati Capirossi e Melandri, ma anche alle spalle dei Suzuki Hopkins e Vermulen e pure del vecchio Edwards. Un misero bottino di appena 112 punti - ben 210 di distacco dal campione australiano, 79 dal compagno di scuderia - frutto di appena tre podi e neppure una vittoria. Vittoria che non è arrivata neanche nel “suo” gran premio, quello che lo aveva incoronato “Mostro della Laguna” e che quest’anno lo ha lasciato a bocca asciutta. Anche l’Australia è stata all’insegna della sfortuna. Nell’ultima gara Hayden ha provato per nove giri a spaventare Stoner, ma poi anche il motore della Honda si è completamente dimenticato di Kentucky Kid.